Conferenza stampa sulla riforma dello Statuto dell’Università del Salento

Ieri, martedì 13 ottobre 2015, ADI Lecce ha tenuto una conferenza stampa sulla riforma dello statuto dell’Università del Salento in occasione della quale verranno presentate al pubblico e alla comunità accademica le proposte di modifica elaborate dall’Associazione. La conferenza stampa, che precede di un giorno la riunione congiunta di Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione sulle modifiche allo statuto, rappresenta la prima importante tappa della campagna nazionale dell’ADI per l’affermazione dei diritti di rappresentanza dei dottorandi e dei precari della ricerca (assegnisti, contrattisti e ricercatori a tempo determinato) negli atenei.

Nel corso della conferenza, ADI Lecce ha presentato le sue principali proposte, ricomprese in un recente documento approvato all’unanimità del Consiglio degli Studenti dell’Università del Salento. I temi fondamentali toccati sono: la rappresentanza in Senato per gli RTD, attraverso la garanzia di un seggio riservato; l’istituzione della Consulta dei Dottorandi e degli Assegnisti di Ricerca, come organo consultivo dell’Ateneo in grado di esprimere pareri su gran parte degli atti amministrativi; la regolamentazione delle elezioni di dottorandi e assegnisti nei consigli di dipartimento soprattutto attraverso tornate elettorali biennali accorpate alle elezioni studentesche, in modo da ripristinare pienamente la funzionalità democratica di questi consessi.

A quattro anni dall’approvazione della Legge 240/2010 (la c.d. “Legge Gelmini”), le conseguenze prodotte dalla messa in esaurimento della figura del ricercatore a tempo indeterminato (RTI) sono emerse in tutta la loro drammatica problematicità. L’introduzione del ricercatore a tempo determinato (RTD) di tipo “a” e “b”, aggravata dalla conservazione dell’assegno di ricerca e di una moltitudine di contratti di collaborazione, ha provocato un’irresponsabile precarizzazione del reclutamento accademico. A questo si sono aggiunti gli effetti della lunga stagione di sottrazione di risorse al sistema universitario e dei blocchi parziali del turn over che, avviata nel 2008, ha ormai assunto un profilo strutturale nelle politiche italiane per la ricerca e l’alta formazione.  

Le conseguenze di questi processi sono riassumibili nell’altissimo tasso di espulsione dall’università di dottori (PhD) e assegnisti di ricerca (circa il 92% di queste figure sarà espulso dal sistema accademico nei prossimi 6 anni), nel progressivo slittamento dell’età media di ingresso in ruolo (dai 36 anni del 2006 agli oltre 42 anni di oggi), nel depauperamento di alcuni sistemi accademici regionali (specie nel Mezzogiorno d’Italia) e, infine, nell’invecchiamento complessivo del corpo docente, con riflessi preoccupanti sulla competitività internazionale del nostro sistema universitario.

Per scongiurare una crisi irreversibile, da tempo l’ADI chiede l’adozione di alcune misure: rifinanziamento dell’università, sblocco del turn-over, semplificazione delle figure pre-ruolo e, non ultimo, il miglioramento dei diritti di rappresentanza di dottorandi, assegnisti e ricercatori a tempo determinato negli atenei italiani.

Il tema dei diritti di rappresentanza dei giovani ricercatori è stato sollevato dall’ADI sin dal febbraio scorso, con una lettera aperta ad Andrea Lenzi, presidente del Consiglio Universitario Nazionale (CUN), affinché il massimo organo consultivo del MIUR affrontasse con decisione il problema. A partire dall’approvazione della legge 240/2010, l’ADI si è impegnata nei molteplici percorsi di riscrittura degli statuti universitari, al fine di garantire ai dottorandi il proprio legittimo spazio di rappresentanza in seno agli organi di ateneo, in primo luogo nei senati accademici. Lì dove questa nostra battaglia è riuscita, le istanze dei dottorandi e dei dottori di ricerca hanno sempre goduto di piena cittadinanza. Da questa esperienza vogliamo ripartire oggi, nella piena consapevolezza della centralità che gli oltre 15.000 assegnisti di ricerca e i 4.000 RTD attivi in Italia rivestono ormai nella comunità accademica. Riteniamo dunque non più procrastinabile un intervento complessivo per il miglioramento delle condizioni di rappresentanza di assegnisti e ricercatori a tempo determinato negli organi di ateneo, condizioni attualmente poco garantite, gravemente lacunose o del tutto compromesse dalla mancata corrispondenza dell’elettorato passivo con quello attivo. Dalla Quinta Indagine ADI su Dottorato e Post-Doc emerge che gli assegnisti di ricerca sono scarsamente rappresentati negli atenei italiani: su 75 università, 31 non riservano loro alcuna rappresentanza; 42 la limitano ai consigli di dipartimento e solo 7 la consentono nei senati accademici. Per quanto riguarda gli RTD di tipo “a” e “b”, su 75 atenei 5 non riservano loro alcuna rappresentanza e ben 23 la limitano ai consigli di dipartimento e di facoltà; la restante parte degli atenei pur garantendo l’elettorato attivo e passivo agli RTD, li inserisce in corpi elettorali misti per cui la predominanza numerica di altre categorie (dai ricercatori a tempo indeterminato ai docenti) finisce col neutralizzare tale diritto e renderlo inagibile.

Emerge dunque un quadro a tinte fosche, in cui una parte consistente della comunità accademica, quella più debole e meno garantita ma non per questo meno importante per lo svolgimento delle attività di ricerca e didattica, non ha accesso né voce nel processo decisionale. I diversi atenei che in questi mesi stanno revisionando i propri statuti – elaborati nel biennio successivo all’ingresso in vigore della Legge 240/2010 – non sembrano prestare la dovuta attenzione a un tema così delicato. E’ necessario che in ogni ateneo la riforma degli statuti non si sviluppi nell’ambito di un rispetto meramente formale dei passaggi istituzionali, ma che si apra alla partecipazione e al coinvolgimento delle consistenti fasce di dottorandi e ricercatori non strutturati.