Università, perché l'idea di riforma Fioramonti non ci convince

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In una recente intervista al Sole24Ore, il Ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti ha formulato alcune riflessioni sulla necessità di intervenire sul sistema di reclutamento accademico.

Nell'intervista, il Ministro si concentra principalmente sulla sua proposta di differenziare i canali di reclutamento accademico, introducendo un concorso nazionale per la metà dei posti, suggerendo poi una revisione dell’ASN che la renda perpetua e non soggetta a scadenza, una volta conseguita da un ricercatore.

Su diversi punti delle riflessioni del Ministro è inevitabile sollevare alcune perplessità.

Innanzitutto, è bene dire fin da subito che, per quanto si possano combattere irregolarità e illeciti, il problema non si risolverà mai solamente per via normativa. È necessaria infatti una massiccia iniezione di finanziamenti alla ricerca che metta fine alla guerra tra poveri a cui si assiste a ogni bando per una nuova posizione. Inoltre, è fondamentale abbattere la piaga del precariato, con un percorso di reclutamento certo e programmato, che liberi i giovani ricercatori da ingombranti influenze. Se di interventi normativi si parla, va allora data priorità a quelli volti alla democratizzazione del sistema, che distribuiscano il potere decisionale all’interno degli atenei, ora sempre di più accentrato. In quest’ottica, nella campagna Ricercatori Determinati abbiamo sollevato la richiesta di abolire l’ormai arcaica divisione tra professori di I e II fascia e ricercatori.

Detto questo, possiamo osservare ulteriori criticità nelle proposte del Ministro. La prima, e più rilevante, riguarda senz’altro l’ipotesi di un doppio binario concorsuale, articolato a livello nazionale e locale, elemento che già nella forma sembra andare in direzione opposta rispetto alla proclamata esigenza di “linearità”.

Risulta difficile quantificare la reale incidenza di questa disposizione: non si può infatti dimenticare come nella cronaca riguardante l’ASN siano emersi anche casi in cui “cordate” sufficientemente ampie hanno potuto orientare il lavoro delle commissioni.

Un’ulteriore gravissima criticità contenuta nella proposta di legge Torto-Melicchio, a cui il Ministro sembra fare riferimento, è la volontarietà dei professori per il sorteggio nelle commissioni di concorso; questo aspetto darebbe un potere pressoché assoluto alle cordate per condizionare la composizione delle commissioni stesse, permettendo di scegliere a monte chi si candiderebbe al sorteggio.

Inoltre, riconoscendo che il concorso nazionale può fornire un utile strumento per programmare gli stanziamenti e accentrare i controlli, bisogna trovare un modo di  rispondere alle esigenze specifiche dei diversi atenei. È necessario infatti fornire agli atenei e ai dipartimenti gli strumenti per scegliere come ampliare l’organico in base alle proprie necessità e all’indirizzo scientifico e didattico che ognuno di essi vorrà darsi autonomamente. Un dipartimento che infatti voglia investire in un settore o si ritrovi mancante in una certa disciplina deve avere gli strumenti per scegliere le figure più adatte da assumere, ma anche qui bisogna fare attenzione: dalle parole del Ministro emerge infatti un’apertura alla chiamata diretta, procedura altamente suscettibile di essere distorta da baronie e clientelismi, mentre il concorso per titoli varrebbe solo a livello nazionale. Questo meccanismo di selezione non è accettabile ed è in aperto contrasto con la richiesta di maggiori democrazia e trasparenza che viene dalle fasce più deboli del mondo universitario.

Anche la rigida allocazione dei posti messi a bando proposta dal Ministro, ossia il 50% a livello nazionale e il 50% a livello locale, sembra essere arbitraria e non basata su uno studio di effettive esigenze locali, mentre ancora non c’è neanche una parola sull’urgenza di aumentare l’organico e riportarlo ai livelli precedenti alla crisi economica.

In conclusione, non possiamo non notare che, al netto delle roboanti dichiarazioni, non abbiamo ancora visto fatti concreti; rileviamo che in Parlamento sono già presenti dei testi di legge che affrontano dettagliatamente il pre-ruolo, uno dei quali a prima firma dell’On. Francesco Verducci, ha già riscosso un gradimento largo e trasversale nel mondo accademico. Sarebbe il caso di ripartire con la discussione da quel testo, affrontando i nodi reali che riguardano il precariato nella ricerca e le urgenze per le vite di chi lavora nel comparto universitario.