Horizon 2020 è il programma dedicato dall’Unione Europea a innovazione e ricerca nel settennato 2013-2020. Secondo i dati resi disponibili dall’European Research Ranking, nel corso del suo primo anno (2014), i finanziamenti concessi all’Italia ammontano a circa 357 milioni di euro, per un totale di quasi 600 progetti, che si sono avvalsi anche del lavoro dei cosiddetti “assegnisti di ricerca”, disciplinati dall’art. 22 della Legge 240/2010 (Legge Gelmini).
La Commissione Europea, però, come indicato a Ottobre 2015 nell’Annotated Model Grant Agreement (AMGA) (pp. 42-45), ritiene inammissibile l’utilizzo di tali figure (così come dei co.co.co. e co.co.pro.) all’interno dei progetti di ricerca finanziati per l’Italia da Horizon 2020 (anche con misura retroattiva rispetto ai progetti già cominciati).
La decisione di considerare “non rendicontabili” gli assegnisti da parte della Commissione e dei suoi uffici legali si basa sul fatto che gli assegni di ricerca, nella legislazione italiana, vengono trattati come contratti privi del vincolo di subordinazione, con una retribuzione basata sui risultati e non sulle ore lavorate. Ma proprio la condizione di subordinazione e la retribuzione basata sul conteggio orario vengono invece considerate come condizioni necessarie per la rendicontazione del personale all’interno dei progetti Horizon.
Dopo questo pronunciamento l’unico escamotage per riuscire ad ammettere gli assegni di ricerca nei progetti europei consisterebbe nell’inquadrarli come costi per l’affidamento di un servizio esterno (subcontract). Ma anche qui esiste un problema: tali contratti secondo la normativa seguono il codice degli appalti, il quale prevede che l’incarico venga affidato acquisendo dei preventivi e secondo la condizione della “best value for money” e la regola della “no conflict of interests”. I contratti di cui sopra in Italia sono invece stipulati per mezzo di un concorso pubblico per titoli ed esami, in cui non è previsto alcun preventivo perché l'importo della borsa è stabilito dal bando stesso, entro i termini di legge.
L’Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea (APRE) e il Convegno dei Direttori Generali delle Amministrazioni Universitarie (Codau GDL), in risposta alla decisione della Commissione, sostengono che in realtà gli assegni siano assimilabili ai contratti subordinati per la sussistenza di tre requisiti: la continuità della prestazione, la coordinazione nelle finalità perseguite dal committente, e la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull’opera svolta dai collaboratori e sulla utilizzazione di una struttura di natura materiale.
Tali considerazioni, al momento, non sembrano aver sortito effetti sulla decisione della Commissione. Riscontriamo però come quanto affermato da APRE e Codau risulti essere in netto contrasto con le posizioni assunte dal Ministero del Lavoro e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - il MIUR ha poi ritrattato questa posizione con un post su Facebook del Sottosegretario Faraone -, per i quali l’assegno è un contratto parasubordinato di formazione studentesca, che non costituisce titolo riconosciuto per il proseguimento della carriera accademica e che esclude i soggetti contraenti dalla fruizione della indennità di disoccupazione DIS-COLL.
Il Ministero del Lavoro, in particolare, ha recentemente sostenuto che il già citato art. 22 della Legge Gelmini “individua negli “assegni di ricerca” una tipologia di rapporto del tutto peculiare, fortemente connotata da una componente “formativa” dell’assegnista (si pensi ai progetti di ricerca presentati dai candidati, selezionati e finanziati da parte del soggetto che eroga l’assegno).[...] Alla luce di quanto sopra, pertanto, non sembra possibile argomentare l’applicazione dell’indennità di disoccupazione in ragione esclusivamente dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata.” (grassetto nostro).
Ciò che emerge in maniera chiara da questa vicenda, dunque, è la necessità per l’Italia di arrivare con urgenza a una riforma – e semplificazione – delle figure pre-ruolo, considerata l’attuale palese inadeguatezza della tipologia contrattuale dell’assegno di ricerca come figura di ricercatore “post-doc”. Che, da un lato, nega ai giovani ricercatori precari la possibilità di essere inseriti all’interno di una tenure-track, e inibisce la possibilità di percepire un’indennità di disoccupazione o di sostegno al reddito, dall’altro, allo stato attuale, nega la possibilità di fare parte di qualsivoglia progetto di ricerca europeo.
Come primo passo in questa direzione chiediamo che riprenda con forza la discussione in Senato sul DdL 1873 “Modifica all'articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, in materia di ricercatori a tempo determinato”(DdL Pagliari).
È tempo di riformare il pre-ruolo in Italia. Ce lo chiede anche l’Europa.
Pubblicato Sab, 06/02/2016 - 10:03
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