IX Indagine ADI su Dottorato e Postdoc: Abolire l'assegno di ricerca

Dopo un iniziale rinvio a causa del lockdown, il 16 ottobre scorso è stata finalmente presentata l’annuale Indagine ADI, contenente rilevazioni inedite sulle condizioni di vita e di lavoro degli assegnisti di ricerca del comparto pubblico italiano. Tali rilevazioni si basano sull’elaborazione delle risposte che più di 2.000 assegnisti di ricerca hanno fornito partecipando al questionario che l’ADI ha diffuso nei mesi di novembre e dicembre del 2019. 

Questa consultazione svela scenari di estrema precarietà lavorativa e personale che, proprio a causa delle conseguenze della pandemia che stiamo attraversando, sono destinati persino a peggiorare. 

Il questionario ha avuto una copertura di circa il 15% degli assegnisti presenti in Italia: il campione intervistato, di età media pari a 34 anni, è composto per il 57% da donne, per il 42% da uomini e per l’1% da coloro che hanno indicato altro genere o hanno preferito non specificarlo. I dati raccolti mostrano che nel 27% dei casi, alla scadenza dell’assegno o del dottorato segue un periodo di disoccupazione prima dell’inizio del successivo assegno di ricerca. Una percentuale che supera il 33% per le aree CUN 1 (Scienze matematiche e informatiche), 11 (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche) e 12 (Scienze giuridiche). Anche dividendo per macroaree territoriali, emerge un divario importante: questa percentuale, che in sostanza esprime l’intermittenza contrattuale degli  assegnisti, è pari al 23% al Nord Italia, al 31% al Centro e al 35% al Sud e nelle Isole. 

Nel 55% dei casi, i periodi di disoccupazione superano i sei mesi: ciò dimostra che le misure di welfare previste per la categoria (l’indennità di disoccupazione DIS-COLL), frutto di una lunga battaglia che l’ADI ha condotto gli scorsi anni, sono fondamentali, ma ancora insufficienti, dal momento che non prevedono alcun tipo di supporto oltre i sei mesi.

Questa forte precarietà, unita anche a ritmi lavorativi elevati (il 53% degli assegnisti dichiara di lavorare più di 40 ore settimanali a cui, nel 77% dei casi, si aggiunge attività di docenza anche a titolo gratuito), influenzano enormemente le scelte di vita dei ricercatori. Il 67% dei rispondenti intenzionati ad avere figli dichiara di aver sospeso il proprio progetto di genitorialità in attesa di condizioni di vita più stabili.  Tra coloro che dichiarano di avere figli (pari al 25% degli intervistati) più della metà ha un partner occupato in un lavoro dipendente. Una condizione influenzata anche dalle scarse misure di welfare familiare previste dal datore di lavoro:  solo il 14% dei rispondenti dichiara che la propria istituzione di afferenza offre servizi quali, ad esempio, l’asilo. Mentre il congedo obbligatorio è ampiamente utilizzato, quello facoltativo in molti casi (38%) non viene impiegato per ragioni economiche o per timore di ripercussioni sul lavoro.

In aggiunta a queste difficoltà, si osserva che una quota elevatissima di assegnisti è comunque destinata a lasciare il mondo accademico. Infatti, guardando alla media degli ultimi 4 anni, se si tiene conto che gli RTD-B sono circa 860 ogni anno e che gli assegni di ricerca attivi sono circa 13.600 ogni anno, ne consegue che - a parità di finanziamenti sul preruolo - solo il 6,3% degli assegnisti ha possibilità di continuare la carriera di ricercatore.

 

 

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