In occasione dei 20 anni dalla fondazione, l'ADI presenta la sua VI Indagine su Dottorato e Post-Doc il 6 ottobre 2016, presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati a Roma.
Per quanto riguarda il dottorato di ricerca, continuano a dispiegarsi i perversi effetti degli ultimi provvedimenti legislativi in materia, combinati ad un sempre più pesante definanziamento del settore della ricerca. In 10 anni, i posti di dottorato banditi annualmente in Italia sono calati del 44.5%, passando da circa 16000 a poco più di 8500. La contrazione dell'offerta dottorale non è omogenea su tutto il territorio nazionale, ma risulta in un processo di "compressione selettiva": i posti di dottorato banditi nel nord del paese, infatti, passano dal 43.6% al 49.1% sul totale, mentre al sud si verifica un calo dal 27.7% al 21.7%. L'offerta di dottorato, inoltre, risulta frammentata in una serie di posizioni con caratteristiche molto differenti (borsisti, non borsisti, dottorati industriali e in apprendistato, etc...) senza che ciò risulti in un reale arricchimento dell'offerta formativa; tale proliferazione, invece, sembra funzionale a "parare il colpo" rispetto ai tagli.
La VI Indagine si arricchisce dei risultati di una rilevazione su un campione di più di 5000 dottorandi italiani, promossa da ADI da febbraio ad aprile 2016. La rilevazione evidenza una decisa mancanza di informazione dei colleghi rispetto alle possibilità di accesso a fondi per la mobilità e la ricerca: il 56.4% dei rispondenti, infatti, non è al corrente delle modalità di erogazione del budget del 10% per le attività di ricerca, previsto dal DM 45/2013. Malgrado la nota MIUR 436/2014 garantisca al collegio dei docenti la facoltà di decidere in merito alla compatibilità del dottorato con attività lavorative retribuite, l'indagine evidenzia che in molti casi, e in maniera del tutto illegittima, l'incompatibilità tra dottorato e lavoro è assoluta. Tale situazione è particolarmente odiosa per i dottorandi non borsisti, che nel 14.4% dei casi, si trovano a non poter svolgere alcuna attività lavorativa mentre sono costretti a pagare tasse per frequentare i corsi di dottorato. Una preoccupante percentuali di colleghi, poi, dichiara che nel suo corso non sono previste attività formative obbligatorie (11,8%). Infine, si evidenza che l’aspettativa di svolgere un periodo di ricerca all’estero è molto diffusa tra i rispondenti del I e II anno ma non trova riscontro nel tasso effettivo di mobilità registrato tra i colleghi al III anno.
Per quanto riguarda il post-doc, continua la forte concentrazione a livello territoriale delle posizioni di assegnisti, RTDa ed RTDb, con disuguaglianze crescenti fra Centro-Nord e Sud: il 50,3% degli RTDa, ad esempio, è concentrato in 5 regioni: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lazio. Dalle stime dell'Indagine, il piano straordinario RTDb (DM 78/2016) risulta del tutto insufficiente a invertire la tendenza alla contrazione delle possibilità di reclutamento per i giovani ricercatori. Infatti, a fronte di 1.800 pensionamenti annui medi, meno di 1.000 ricercatori verranno inseriti in ruolo. Oltretutto siamo in presenza di una misura non strutturale ma contingente ed emergenziale. L'annuale proiezione sul reclutamente si arricchisce di una stima derivata da dati ANVUR e relativa al tasso di superamento dell'Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN). Tale proiezione conferma un elevato tasso di espulsione per i post doc: nei prossimi anni solo il 6,5% di chi attualmente è assegnista di ricerca riuscirà ad accedere ad una posizione di professore associato negli atenei italiani. Ancora una volta, dunque, gli effetti dei tagli e del blocco del turn over si scaricano sulla componente più debole della comunità accademica.