La crisi climatica rappresenta una delle più grandi sfide che l’umanità dovrà affrontare nel giro dei prossimi dieci anni. Non è solo retorica, è ciò che ci dice la scienza ormai da anni, e in particolare negli ultimi mesi attraverso il rapporto stilato dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), un gruppo internazionale di 195 scienziati che dal 1988 lavora alla produzione di analisi, stime, previsioni e modelli relativi al fenomeno dei cambiamenti climatici.
Il sentimento di urgenza che questo tema ha suscitato, soprattutto ultimamente, ha avuto come effetto particolarmente rilevante quello di riempire le piazze come non si vedeva da anni: in tutto il mondo, centinaia di migliaia di persone, soprattutto giovani e giovanissimi, hanno manifestato durante gli scioperi globali per il clima indetti da Fridays For Future, rivendicando il diritto a un futuro sostenibile in cui vivere.
Non è banale il fatto che un movimento così ampio e guidato da un immaginario così forte sia nato sulla spinta di evidenze scientifiche prodotte dal lavoro di ricercatori universitari e non: le analisi e le rivendicazioni che vengono portate avanti dai movimenti ambientalisti derivano, infatti, proprio dai risultati della ricerca, che forse mai come prima sono riusciti ad uscire dai muri delle università e dei laboratori in modo così prorompente per imporsi nel dibattito pubblico.
È proprio osservando il movimento ambientalista che oggi i luoghi del sapere – le università, i centri di ricerca – devono porsi in modo ancora più forte e profondo la questione di come le conoscenze da loro prodotte abbiano un impatto sulla società. Questo perché le sfide a cui l’umanità va incontro sono talmente grandi che non basta la politica e nemmeno solo il movimento, ma occorre una sinergia di forze e di intelligenze.
Tuttavia, osservando oggi la situazione in cui versano l’università e la ricerca nel nostro Paese, certamente non si può dire che siano messe nella condizione di far fronte alle sfide sociali che si presentano: lo stato di definanziamento in cui ancora permangono gli atenei sia dal punto di vista dell’organico sia dal punto di vista infrastrutturale, la cronica precarizzazione della ricerca, un sistema di valutazione utilizzato per la distribuzione delle risorse che spesso non consente una ricerca davvero libera e penalizza l’interdisciplinarità e non permette spesso di uscire dagli schemi del mainstream, sono tutti elementi che frenano fortemente il potenziale trasformativo che l’università potrebbe avere verso l’esterno.
È quindi necessario che negli atenei la comunità accademica tutta prenda consapevolezza e posizione rispetto alle sfide sociali di questa fase, in primis quella ambientale e climatica, e a come farvi fronte, creando spazi di discussione pubblici, interrogandosi su come le conoscenze che vengono prodotte possano vivere concretamente nei processi di trasformazione del sistema economico e produttivo, e aprendosi all’esterno coinvolgendo tutta la società anche attraverso la sensibilizzazione e la divulgazione scientifica.
Occorre che ci si mobiliti subito per un rifinanziamento complessivo dell’università e della ricerca, per avere un sistema in cui la ricerca sia libera dalle dinamiche distorte prodotte dal sistema di valutazione e dagli interessi dei privati e del mercato, per eliminare definitivamente la precarietà dei ricercatori, affinché l’università, gli enti pubblici e i centri di ricerca possano essere motore di trasformazione della società attraverso i saperi che producono.
Per questo durante la giornata del terzo sciopero globale per il clima di Fridays for Future, saremo nelle piazze e organizzeremo eventi e iniziative durante la Notte dei Ricercatori, che si terranno in quasi tutti gli atenei del Paese, per chiedere alla comunità accademica tutta di prendere parte alla mobilitazione e per rivendicare una ricerca adeguatamente finanziata e capace di svolgere il suo ruolo all’interno della società.
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Pubblicato Sab, 21/09/2019 - 13:38
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